In Primo Piano

"Un C@ppuccino per un Pc"
(in Attualità dal 03/08/05)

Letture per l'estate:
"La scienza degli addii"
di Paola Sereni
(in Cultura dal 27/06/05)

Gli americani sparano ad una cometa e a Mosca si arrabbiano
di Antonino Pingue
(in Attualità dal 06/07/05)

A proposito dello spessore morale degli italiani
di Enzo Russo
(in Attualità dal 06/07/05)

Non c'è problema, chiaramente
di Lucio Mariani
(in Cultura dal 27/06/05)

L'uso del colore e le indefinibili pennellate di Boldini
di Francesca Montuori
(in Cultura dal 27/06/05)

Dell’esito del referendum e della morale degli italiani
di Enzo Russo
(in Attualità dal 15/06/05)

In dieci battute
(a proposito dell’astensione nel referendum)
di Michele Mocciola
(in Attualità dal 13/06/05)

Recensione de: "Tu non c'entri"
di Fe. Al.
(in Cultura dal 7/05/05)

Sulla lettura di poesie in un carcere
di Lucio Mariani
(in Cultura dal 5/05/05)

Anche gli olandesi dicono no alla Costituzione europea
di Enzo Russo
(in Attualità dal 3/06/05)

Perché la filosofia è difficile?
di Alberto Madricardo
(in Cultura dal 25/05/05)

Word Press Photo - Edizione 2005
(in Attualità dal 25/05/05)

A che serve la filosofia?
di Alberto Madricardo
(in Cultura dal 18/05/05)

Il teatro di Peter Gill
di Gian Maria Cervo
(in Cultura dal 10/05/05)

Le biblioteche moderne: conservare e diffondere con gli strumenti della tecnologia
di Alessandro Amodio
(in Percorsi dal 09/05/05)

a.a.a. vendansi vecchia Volkswagen “benedetta XVI”
(in Attualità dal 06/05/05)

Le rune, tra misteri e fandonie
di Lorenzo Gallo
(in Cultura dal 27/04/05)

Chi legge lo sa bene...
di Antonino Pingue
(in Cultura dal 24/04/05)

Addio Julca
di Adriano Aldomoreschi
(in Cultura dal 08/04/05)

Musica per un ascolto inusuale
(in Attualità dal 15/03/05)

L’hi tech all’italiana: tanto fumo & niente arrosto
di Antonino Pingue
(in Cultura dal 15/03/05)

La lingua italiana: Severgnini scopre l’acqua calda
di Paola Sereni
(in Attualità dal 15/03/05)

Mostra: La ricerca dell’infinito
(in Attualità dal 15/03/05)

La campagna romana de "I XXV"
di Caterina Pellitta

(in Cultura dal 15/03/05)

Shelley, l’ateismo e... l’inventore della carta carbone
(in Attualità dal 26/02/05)

La lingua italiana non ha bisogno di essere amata ma rispettata
di Paola Sereni
(in Attualità dal 24/02/05)

Libro: “Di Razza Ebraica” di Renzo Modiano
(in Cultura dal 20/02/05)

INCANTATI DA ROMA /
SPELLBOUND BY ROME

(in Attualità dal 10/02/05)

Incisioni pittoriche di vedute italiane
di Caterina Pellitta
(in Attualità dal 10/02/05)

L'Home Banking, questa sconosciuta
di Rita Crisante
(in Attualità dal 02/02/05)

Vecchiume in digitale:
“La foresta dei pugnali volanti”, l’ultimo film di Zhang Yimou:

di Paola Sereni
(in Cultura dal 02/02/05)

Ricerca scientifica e nuove tecnologie:
Bill Gates compra le uova e Trento si tiene la gallina.
(in Attualità dal 03/02/05)

 

Ancora in primo piano

Libro: "L'Ala dell'angelo. Itinerario di un comunista perplesso".
di Lorenzo Gallo
(in Cultura dal 29/01/05)

"Vecchiaia": saggio di Alberto Madricardo. Replica dell’autore al commento di Paola Sereni
(in Cultura dal 29/01/05)

Quando le parole affilano i coltelli
(in Cultura dal 23/01/05)

Test semiserio sullo stress da computer
(in Giochi dal 23/01/05)

Giovanni Boldini
di Isabella La Costa
(in Cultura dal 17/01/05)

“Mitteleuropa sul Tevere”
(in Cultura dal 19/01/05)

Morandi a Firenze
di Isabella La Costa
(in Attualità dal 15/01/05)

Lingue, linguaggi e dialetti
di Paola Sereni
(in Attualità dal 8/01/05)

 

 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



Pillole di Cinema
Oliver Twist
di Roman Polanski



“Una boiata pazzesca!” La celebre frase di Fantozzi mi è salita dal profondo con un rigurgito liberatorio subito dopo l’happy end. Il giudizio non tocca -ovviamente- il celebre romanzo di Dickens che ha allietato (si fa per dire!) insieme agli altri classici strappalacrime coevi la nostra fanciullezza.
Il giudizio ci viene spontaneo perché il film ci ha tenuto in sospeso -inutilmente- fino alla fine. E non perché ci fosse un minimo di suspence, nonostante la profusione degli espedienti del mestiere: gli inseguimenti a perdifiato, i mille pericoli schivati per miracolo dal protagonista con tentativi (falliti) di coinvolgimento dello spettatore e infine il caso che -attraverso le tante peripezie
che avrebbero dovuto tenerci con il cuore in gola- interviene a mutare il destino del piccolo eroe.
Il contesto non era una saletta parrocchiale e l’autore niente di meno che Polanski, uomo di mondo e cineasta di notevole classe che ci aveva finora egregiamente mostrato -da artista raffinato e consumato qual’è- un’umanità di una crudeltà più ambigua, più sottile e sofisticata e ciò faceva ben sperare in una chiave di lettura che non seguisse pedissequamente quella di Dickens.
Il celebre romanzo infatti ci restituisce (ed è questa la sua eterna fascinazione) l’atmosfera vittoriana, malsana e soffocante, immersa nella severa etica protestante, priva com’era allora -e oggi- di qualunque riscatto “buonista”, ipocrita ma consolatorio di stampo cristiano.
Dickens sente sul serio che il mondo è diviso rigidamente in buoni e cattivi: i buoni sono belli (o quanto meno di aspetto simpatico e piacevole) e fortunati: il bene sommo è la rispettabilità, che in genere è ereditaria, non si acquisisce mai per merito ma deriva dal ruolo che uno occupa nella società, in una specie di perverso e disperante “circolo vizioso”… E non è possibile una redenzione dei cattivi, neppure per mano dell’eroe: ognuno deve restare nel contesto socioeconomico che “si merita”!
Com’era tutto semplice nella poetica/etica dickensiana, che Polanski ci restituisce pigramente intatta! Come si inquadrerebbe facilmente oggi il problema dei clandestini che vogliono sbarcare in Puglia e che invece cadono in mare! Qualcuno, magari qualcuno particolarmente dotato, ogni tanto si salva e viene accolto, rifocillato e consolato e perciò tutto va bene nella nostra coscienza collettiva, tutto a posto, anche se… “niente in ordine”.
Comunque il film ci ha fatto tornare indietro nel tempo: com’era bello piangere insieme al piccolo eroe e poi tornare alla sicurezza e comfort della propria stanzetta, dei genitori magari un po’ distratti ma sempre solleciti e affettuosi… e quanto era consolatorio quel senso di “giustizia retributiva” che traspare dal romanzo,
cui si crede fermamente da bambini (anche perché era un importante dettame educativo che ci veniva inculcato) per cui se eravamo buoni e ci mantenevamo “puri di cuore” -lo diceva anche De Amicis- sarebbe arrivata la giusta ricompensa.
Ciò non toglie che Oliver Twist è un film perfetto: splendidamente confezionato, di ottimo gusto rétro come si conviene, i costumi sono un esempio di moda casual, esteticamente ben stracciati, le scene ricalcano in maniera smagliante le incisioni del tempo (l’esordio del film con il titoli di testa sullo sfondo di una stampa di uno scorcio lussureggiante ma inquietante di campagna inglese è da manuale…)
Polanski come Zeffirelli dunque, uno dei tanti esempi di involuzione di un artista scomodo ed eclettico che, entrato in pieno nella terza età, vuole ora autocelebrarsi…

pa.ser.


La fabbrica di cioccolato
di Tim Burton

Il film è -a dir poco- geniale ed è una svolta. E’ la celebre “Fantasia” di Walt Disney che ci ha entusiasmato nel dopoguerra, la “Fantasia” degli anni 2000, girato in gran parte in truka e in digitale, ma ne è l’opposto come visione della vita che viviamo e che stanno ereditando i nostri figli.
E’ un film pirotecnico: ironia, rimbrotti, scene grottesche, un film dalle cento letture, cento citazioni, cento parabole; i nostri vizi spiattellati, miti e riti collettivi sbeffeggiati...
E’ un film per bambini? Nooo! E’ un film inquietante e pessimista e può essere ipocritamente consolatorio ed edificante soltanto nel finale, ma solo per bimbi resi insensibili -povere creature- dagli spettacoli che sono costretti a ingurgitare dalla televisione e dalla pubblicità. A meno che, con Bruno Bettelheim -il celebre psichiatra austriaco che però morì suicida- non pensiamo che potrebbe essere una catarsi esorcizzante delle mille paure infantili, da quella delle carie ai denti alla paura di morire/soffrire/scomparire nel nulla perché papà e mamma non possono aiutarti.

pa.ser.


Good night and good luck
di George Clooney

Un bel film piacevole e accattivante, corporativo e parziale, ma prevedibile e -in fin dei conti- inutile. La fotografia è smagliante, l’atmosfera fumosa e suggestiva, di quando, per sentirsi “veri uomini”, trasgressivi e complici bastava una sigaretta o bere uno scotch insieme. Un film di finti eroi o -meglio- di eroi di un tempo visti con parametri attuali che ahimè, mala tempora currunt, proprio epici non possono essere, anche mettendoci tutta la buona volontà.
Se il regista ci vuol dire che ogni epoca ha la sua dose di piaggeria, di servilismo, di opportunismo che crea nei “belli e buoni” pur lodevoli crisi di identità professionale è banale; se poi pretende che il film che lo racconta sia, soltanto per questo, “universale”, sbaglia di grosso.
Queste “qualità” infatti sono sfuggenti e difficilmente inquadrabili negli assunti di una psicologia di massa, che può essere scomodata/invocata magari per la Shoah, per i massacri in Iraq, in Afghanistan, ma non per personaggi ripresi in “primo piano” nella loro individualità e nelle loro mansioni legate al ruolo, anche se l’eroe positivo ha -manicheisticamente parlando- lo sguardo dritto e affascinante di David Strathaim -a parte il bel George Clooney che qui è per modestia di contorno- e l’eroe negativo -McCarthy- ha la faccia autentica ma antipatica di colui a cui la Storia ha dato torto.

pa.ser.


MYSTERIOUS SKIN

E’ un film a forti tinte, doloroso e coinvolgente. Il fatto è -per quanto possibile parlando di atrocità, di vigliaccheria e di sopruso dell’uomo sul più debole- banale.
Due ragazzini in una qualunque provincia americana, vivono una vita parallela in famiglie un po’ distratte e disastrate.
Appartengono allo stesso gruppo -in questo caso è, banalmente, una squadra di baseball controllato da un “capo” pedofilo con un aspetto angelico e gradevole, da cui sono sedotti e violentati, in un ambiente studiatamente e vigliaccamente cameratesco, perfino paterno.
Uno dei due, bello e aitante, ha assorbito piaceri proibiti e trasgressione, tanto che diventa complice e più in avanti con gli anni vorrà guadagnarsi da vivere facendo marchette, riservando un po’ di tenerezza e affetto soltanto a chi lo ammira e ne condivide le scelte. Ha assorbito così tanto la “lezione” di chi l’ha iniziato che la provincia non gli basta più e cerca l’annientamento -e forse una sorta di redenzione- nella grande e spietata NewYork che lo serve a dovere, nella persona del più brutale e violento dei suoi partners occasionali.
L’altro, occhialuto e bruttino, ha sofferto nel corpo e nell’anima, cresce tra somatizzazioni e freudiane rimozioni e brancola nel proprio passato, tra i vagheggiamenti di una coetanea visionaria che si racconta improbabili verità e le cure della mamma ignara e inutilmente protettiva.
Il tutto è raccontato con calligrafica, meticolosa e intensamente sofferta partecipazione, senza indulgere tuttavia a facili didattiche.
E’ un film che si vede con il sangue e il cuore che pulsa nel petto, che va ben oltre la skin da cui prende significativamente il titolo.

pa. ser.


QUO VADIS, BABY?

Un thriller al femminile ambientato in una Bologna notturna e piovosa, magnificamente fotografata da Italo Petriccione.
La storia: l’investigatrice privata Giorgia Cantini (Angela Baraldi) è bolognese, quarantenne, single, con un passato da musicista. Alcune videocassette nelle quali la sorella Ada (Claudia Zanella), morta suicida sedici anni prima, si confidava a un amico costituiscono il punto di partenza del viaggio di Giorgia tra i ricordi e i segreti della sua famiglia, dominata dal padre, il capitano Contini (Luigi Maria Burruano).
Salvatores ci regala un film, tratto all’omonimo romanzo di Grazia Verasani, per cinefili, pieno di citazioni - a partire da “Ultimo tango a Parigi” - con riprese in soggettiva, visionarie e formalmente perfette. Un film con molteplici punti di vista che lasciano allo spettatore il compito di sciogliere da solo il bandolo della matassa. Operazione non del tutto riuscita.
Scrive Federico Pontiggia su questo film: “Salvatores sa come muovere la camera e dove portare i suoi personaggi, accomunati da una infelicità infida e pervasiva. Il presente - anche metacinematograficamente - conserva sempre l'eco dolente del passato.”


NESSUN MESSAGGIO


Come il loro primo film, “Miracolo Napoletano” la coppia Genovese e Miniero, muovono la trama da una prima divertentissima idea: un vecchio legge su un giornale che per ogni pensionato esiste un giovane che lavora per pagargli la pensione. Presa la cosa alla lettera il vecchio signore (Carlo delle Piane) si mette alla ricerca del giovane che lo mantiene con la seria intenzione di proteggerlo e sostenerlo. Le ricerche lo porteranno a individuare in Piero (Pierfrancesco Favino) l’esemplare perfetto: impiegato integerrimo e senza vizi, single e timido. Tremendamente timido. Innamorato segretamente di Francesca (Lorenza Indovina), operatrice ecologica che ogni notte passa sotto la sua casa, Piero cercherà di conquistarla proprio con l’aiuto del nuovo angelo custode. Qualche consiglio ben assestato, un taglio di capelli adeguato e il gioco è fatto.
Ottima l’interpretazione di Delle Piane, gradevole la storia. Un film che merita il biglietto per la sua freschezza e semplicità. Memorabile il cammeo di Funari che ci regala uno dei suoi aforismi più corrosivi: "La televisione è come la cacca. Bisogna farla, ma non guardarla".



LUCI NELLA NOTTE

Chi ha letto il libro di Simenon, lasci perdere. E’ quasi sempre così, il film delude perché quel che hai immaginato leggendo pagine ben scritte, qualcuno ha dovuto renderlo in immagini e, naturalmente, non c’è riuscito.
Chi invece s’è persa l’ultima pubblicazione Adelphi dell’instancabile George, s’avvicini pure alla sala cinematografica che proietta il film “Luci nella notte”, sceneggiato e diretto dal francese Cédric Kahn nel 2003 e presentato nell’edizione 2004 del Festival di Berlino.
Scoprirà, lo spettatore, che è proprio vero quel che sostengono i personaggi: “Quando siamo felici, non stiamo mai attenti” e che un normale viaggio può cambiare il corso di una vita.
Succede così a una coppia, Antoine ed Hélène (Jean Pierre Darroussin e Carole Bouquet) che una sera d’estate parte per andare a riprendere i figli in colonia e che, a causa di un litigio fomentato da silenzi e incomprensioni di lunga durata, si troverà in una situazione difficile.
Bravi gli attori, ma la suspence delle parole di Simenon si perde... nel buio della notte.
Fe. Al.



QUANDO SEI NATO NON PUOI PIÙ NASCONDERTI


Film affascinante ma ruffiano. Fa leva -e in maniera efficace- sul sentimento primordiale sempre esaltato -e avallato- dalla nostra cultura occidentale e più universalmente condiviso: l’amore per i figli (specialmente il figlio -non a caso- unico) come proiezione di sé, simbolo di successo e di possesso. “I figli so’ figli”
Tutto il resto è intorno e lo spettatore spasima di identificazione: il sentimento paterno è al centro di tutti i sentimenti e le emozioni, troppo descritte ma fatalmente e parossisticamente coinvolgenti: la paura di perderlo in senso fisico ma anche in senso immateriale, quando è distratto dall’amore dei genitori, il senso di inutilità della vita quando viene a mancare, il desiderio di aiutare gli altri che nasce più che da un senso di solidarietà spontanea, da gratitudine riflessa, la gelosia possessiva nei confronti degli “altri” che scatta quando al figlio non basta più l’affetto dei genitori e i privilegi connessi, ma vuole -come diceva Gianni Rodari- nuotare nel mare grande...
E qui nel mare grande il ragazzo ci cade letteralmente dentro, si salva miracolosamente ma altrettanto miracolosamente passa indenne e rimane puro -solo un po’ deluso- anche dopo essere caduto nel mare grande... della vita, popolata degli adulti e delle loro miserie.
Il controcanto sono le vite ammassate e “inutili” dei clandestini. C’è un compiacimento letterario e estetizzante nella contemplazione dell’umanità variegata che è -come nome collettivo- il vero deuteragonista del film. E’ un film edificante -e si capisce perché è piaciuto a Cannes- ma troppo aristocratico e distante per commuovere veramente. Fa rimpiangere Gianni Amelio e i suoi film a volte didascalici ma vibranti di passione politica e sociale.


pa. ser.


TU DEVI ESSERE IL LUPO

“Tu devi essere il lupo” è un piccolo film rivoluzionario.
Rivoluzionario non solo per come si è finanziato - tramite Myself - e quindi in completa libertà creativa.
E’ un film rivoluzionario soprattutto perché è una dissacrazione del mito della famiglia come si è sedimentato in un giovane che non ha dovuto combattere e affrancarsi dai suoi riti e dalle sue tradizioni come le generazioni precedenti, ma vede il rapporto familiare - in questo caso la “diade”: padre/supposto padre-figlia, come il perno attorno cui costruire la propria vita. Anzi, lo speciale rapporto che il giovane padre ha creato con la figlia, disonestamente perfetto ma chiaramente autocelebrativo- assurge a suo unico (dacché non sembra avere particolari ambizioni sociali o lavorative) successo personale nella vita.
Insomma, mi aspettavo con timore di vedere una storia pruriginosa di ordinario incesto mentre ho visto un contro-film sottilmente psicoanalitico alla Bellocchio, in cui il nostro eroe “lupo” ha il viso intelligente e solare di Ignazio Oliva, ma è lui il lupo che fagocita la tenera adolescente-agnello sacrificale cui viene impedito di crescere.
E la pecorella smarrita ha il bel volto intenso della Valentina senior che - fragile e contraddittoria ma più sana - “cresce” e matura costruendo il suo equilibrio su uno dei rituali di difesa fondamentali dell’animo umano e cioè proiettando le sue ansie e le sue storie nella rappresentazione di cui -di nome e di fatto- tiene i fili.
Se in Bellocchio le dinamiche familiari sono epiche e cruente, qui tutto è assorbito da una lirica di sentimenti velata di rimprovero, volutamente mal dissimulato sotto una melensa umanità.

pa. ser.


 
Tu devi essere il lupo
commento di Vittoria R.

Non sono d'accordo sulla recensione di pa.ser. sul film.
Ciascuno di noi ha un “lupo”, cioè un nemico dentro o fuori se stesso che
gli vuole male ma che alla fine è meno cattivo di quel che appare.
Potrebbe sembrare il padre - come scrive Paola - ma in realtà il padre per la figlia
rinuncia persino alla sua donna.
Potrebbe essere la mamma che l'aveva
abbandonata ma che poi rinuncia a lei per non distruggerne l'equilibrio di
vita che si è costruita.
Potrebbe essere la figlia arrabbiata con il padre
di cui è gelosa ma poi rinuncia a scappare.
Tutto è psicologicamente vago...ma il film non lascia indifferenti. A me è
piaciuto.

Vittoria R.


LE CROCIATE

La storia: intorno al 1100 un povero maniscalco francese, belloccio ma sfortunato, a cui è appena morta la moglie e il figlio, riceve la visita di un famoso cavaliere, che con un po’ di imbarazzo gli confessa d’essere suo padre.
Insomma il nostro eroe ha fatto bingo: non solo può smettere di fare il maniscalco - rimanendo belloccio - ma in Terra Santa lo aspetta un mucchio di soldi, terreni, titoli ecc. Lui però rifiuta, perché è una specie di san Francesco, e ha idee tutte sue sulla virtù e la rettitudine. Capita poi che si arrabbia, ammazzi un prete e scappi con il padre. Mah!
Ed eccolo infine che giunge a Gerusalemme, nel bel mezzo tra la seconda e la terza crociata. Duelli, amori, colpi di scena, il maniscalco belloccio e un po’ san Francesco si conquista la stima dei buoni e l’odio dei cattivi. Diventa anche e non si sa come, un genio militare. Infine sarà lui a difendere Gerusalemme dall’assalto del “Saladino”.
Ridley Scott non è un regista da niente, ottima la messa in scena delle grandi battaglie, qua e là una strizzatina d’occhio al Kagemusha di Kurosawa. Buona tensione e una sceneggiatura poco credibile ma efficace. Da segnalare una marcata posizione politica. Ne Le Crociate i cattivi sono i cristiani, mentre i musulmani sono buoni e tolleranti. Insomma una reazione dell’altra America alla “Passione” fondamentalista di Mel Gibson. Condivisibile la filosofia del nostro san Francesco – belloccio - ma assolutamente poco credibile per quei tempi. Sfiatata la coca cola, ottimi i popcorn: salati al punto giusto. Pardon: saladini…

a.p.


SPANGLISH


Lei è una splendida donna ispanica (Paz Vega) con una vispissima figlia, l’adolescente Cristina (una bravissima Shelbie Bruce), pronta ad assorbire il mondo Usa che sua madre rifiuta.
Lui (Adam Sandler) è un grande cuoco che non ha perso il gusto della vita e delle cose importanti. Padre di una figlia poco magra e di un bimbo(che appare soltanto due volte) e marito di un’americana (Tea Leoni) da stereotipo: ricca, atletica, eccentrica, nevrotica…
Si incontreranno perché la prima, dopo aver rifiutato la cultura a stellestrisce, sarà costretta a conoscerla da dentro, a partire dalla lingua, per lavorare, integrarsi, comprendere la figlia e …innamorarsi.
Ma, piedi per terra, nel vero senso della parola (bisogna andare a vedere il film per capire perché). Nessuno pensi a una commedia a lieto fine o a un’americanata qualsiasi. C’è dentro la paura di affrontare il nuovo e la scelta della tranquillità sulla felicità.
Avrebbe giovato un taglio di almeno un quarto d’ora perché, in alcuni momenti, si avverte che la sceneggiatura è sfilacciata. Tuttavia, val la pena di vedere il film di James L. Brooks ((Voglia di tenerezza, Qualcosa è cambiato), anche per decidere che, a differenza dei protagonisti, si può anche scegliere di non poggiare i piedi.

Fe. Al.


LA FEBBRE


Un film tutto italiano che forse non può valicare i nostri confini, ma che troverà sicuramente degli estimatori nel nostro Bel paese. Sconsigliato agli invidiosi, a quelli che sopravvivono sperando che gli altri siano peggiori di loro, siano meno simpatici e meno felici, la pellicola racconta di un geometra di provincia, studente fuori corso d’architettura, che, per realizzare uno dei suoi tanti sogni, è anche disposto a diventare un impiegato 8-14.
Impiegato sì, ma non “grigio” perché il bravo Fabio Volo, in arte Mario Bettini, non riesce a diventare come gli altri neanche dietro una burocratica scrivania comunale.
Il film di Alessandro D’Alatri (Casomai, Senza pelle…)è una dichiarazione d’odio e amore per l’Italia, un tributo al presidente Ciampi incastonato in un cammeo di Arnoldo Foà, un barlume di speranza in queste nebbie non soltanto padane.
Vale un pomeriggio al cinema, senza troppi entusiasmi, ma certo con un po’ di lode, se non altro per la morale.

Fe. Al.

 

 

 

 

 

Le nostre Rubriche

Il Paperazzo
in: "Tutte le e-mail del Presidente"

in:
"Cosa significa quella C?"

Clicca qui per vedere l'archivio